Possiamo finalmente dire che la primavera è iniziata?
Stando al calendario certamente si ma la pioggia non sembra proprio volerne sapere di cedere definitivamente il passo al sole.
Questo, sia chiaro, non ci impedisce di riunirci per il nostro secondo appuntamento sotto la grande quercia del Duca (qui il tempo lo scegliamo noi) e di continuare il nostro viaggio tra simboli, natura e teatro.
Per cominciare vi dico che almeno per quanto mi riguarda la primavera è già qui. Si, perchè tutti gli anni appena spunta il primo sole immancabilmente mi vengono in mente due cose. Lo prendo come un personalissimo segno che la primavera è arrivata e mi faccio coraggio. Se può fare coraggio anche a voi sappiate che anche quest’anno non hanno mancato il loro appuntamento. Vi chiederete: quali sono queste due cose?
La prima è un bellissimo cartone animato visto e rivisto centinaia di volte da quando ero bambino. Si intitola “To spring” ed è del 1936. Sono sicuro che non sono l’unico ad averlo visto milioni di volte. Per chi se lo fosse perso eccolo qua.
Ogni volta che veniva trasmesso in tv restavo incollato a guardare la lotta dei piccoli gnomi. La seguivo sempre con la stessa apprensione temendo che forse quella volta non ce l’avrebbero fatta a spostare la pesantissima leva con la paura che la primavera non sarebbe mai arrivata e saremmo tutti rimasti nel grigio e triste inverno.
La seconda cosa che mi viene in mente è uno dei testi teatrali che amo di più: “Risveglio di primavera” di Frank Wedekind. Quando frequentavo la scuola di teatro studiavo e ristudiavo il monologo di Hanschen Rilow in cui egli cerca di resistere alla tentazione di guardare di nascosto una riproduzione della Venere di Palma il vecchio ritratta senza veli.
Il testo scritto nel 1890 e messo in scena per la prima volta nel 1906 racconta la vita di un gruppo di adolescenti: Wendla, Melchior e Moritz, quelli di cui parleremo, attorniati da un mondo adulto rigido e conservatore. La vicenda si svolge in un piccolo villaggio della Germania del XIX secolo alle porte della primavera e proprio in quel particolare momento della vita segnato dall’ingresso nella pubertà.
Melchior: “Il fieno ha un profumo così meraviglioso. – Fuori il cielo deve essere nero come una coltre funebre. – Io vedo soltanto il papavero che ti splende sul seno – e sento battere il tuo cuore.
Wendla: “Non baciarmi, Melchior! – Non baciarmi!”
Melchior: “Sento battere – il tuo cuore.
Wendla: “Quando ci si bacia – ci si ama … no, no!”
Melchior: “Oh credimi, non esiste nessun amore! – è tutto interesse personale, tutto egoismo! – io ti amo poco Wendla, come tu ami poco me.
Wendla: “No … no, Melchior!”.
Di certo, il risveglio a cui fa riferimento il titolo è tutt’altro che indolore e, come tutti i veri risvegli, porta con sé un doloroso travaglio. Le poche righe riportate appena sopra infatti rendono bene l’idea di questo connubio di sensazioni contrastanti e di questo lavoro sotterraneo dell’essere fatto di contrasti che preludono alle grandi trasformazioni. Già le prime due frasi ci portano immediatamente al centro di una forte contrapposizione: il profumo meraviglioso del fieno e il cielo nero come una coltre funebre.
Se vogliamo seguire il tortuoso e affasciante tracciato della mitologia troviamo descritti mondi contrapposti anche negli antichi miti sull’origine della primavera. Quello più importante è senza dubbio il mito di Proserpina che, innamorata dei prati fioriti, amava passeggiare tra l’erba alta quando Ade o Plutone innamoratosi di lei la rapì portandola negli inferi. Dunque la madre Cerere disperata lasciò il mondo scivolare nell’aridità e gli uomini preoccupati da questa condizione che minacciava la vita, chiesero aiuto a Zeus.
Il suo intervento riuscì a ristabilire l’ordine facendo si che Proserpina tornasse dalla madre per due terzi dell’anno e nel restante periodo stesse tra le braccia di Ade.
Il mito vuole che da quel giorno, ogni volta in cui la figlia Proserpina fa ritorno dalla madre Cerere ella riempia il mondo di fiori per la gioia della figlia decretando così l’inizio della primavera. Anche in questa vicenda mitica l’instaurarsi della bella stagione è frutto di una lotta di opposti: mondo infero e paradisiaco, aridità e fertilità.
Wendla: […] “Ti prego, mamma, parla! Non sgridarmi se ti domando una cosa del genere. Rispondimi, come avviene? – Come succede? Non puoi seriamente pretendere che a quattordici anni creda ancora alla cicogna”
Signora Bergmann: “Ma gran Dio, bambina mia, come sei strana! – che razza di idee hai? – Veramente non posso dirtelo!”
Wendla: “Ma perchè no, mamma? – perchè no! – Non può esserci nulla di brutto visto che tutti ne sono così contenti!”
Signora Bergmann: “Per avere un bambino – bisogna amare – dico amare l’uomo con il quale si è sposati. Lo si deve amare con tutta l’anima, come – come non è possibile dire! Lo si deve amare Wendla, come alla tua età non puoi ancora amare … Ecco, ora lo sai!”
Questa scena segna l’ingresso dell’opera di uno dei simboli centrali della primavera: la fecondità. Wendla incalza la madre con le sue domande travolta dagli istinti sessuali e desiderosa di sapere come avviene la procreazione. La madre estremamente combattuta a causa della rigida morale finisce per darle una spiegazione quantomai approssimativa.
La fecondità primaverile ci arriva dalla tradizione mitica come immagine dell’uovo primordiale emblema della fertilità e del cosmo. L’uovo a sua volta ci riporta al racconto della fenice. Una storia segnata dalle opposizioni di vita e morte.
Il mito racconta che la fenice prima di morire preparava un nido a forma di uovo e vi si accovacciava lasciandosi poi incenerire dai raggi del sole. Successivamente da quelle ceneri nasceva l’uovo da cui essa riusciva a riprendere nuovamente vita.
Signora Bergmann: “Tu non devi morire – tesoro! – hai un bambino, Wendla hai un bambino! – oh, perchè mi hai fatto questo!”
Wendla: “Ma non è possibile, mamma, non sono mica ancora sposata!
Signora Bergmann: “Gran Dio onnipotente, è proprio perchè non sei sposata! Questo è il terribile! – Wendla, Wendla, Wendla, che cosa hai fatto!”
Wendla: “Non lo so, Dio me ne è testimone! Eravamo sdraiati nel fieno. Oh, mamma, perchè non mi hai detto tutto!”
E’ il medico di famiglia a rivelare alla madre che Wendla è rimasta incinta di Melchior nel loro incontro al fienile e la madre per evitare uno scandalo contatta l’abortista, la signora Schmidt. Purtroppo a causa delle complicanze dell’aborto Wendla perderà la vita. Il tema della morte e della distruzione di sé è al centro anche della vicenda di Moritz, amico di Melchior che a causa di una bocciatura arriva a suicidarsi con un colpo di pistola. L’opera tocca, con questi due episodi il punto più cupo. L’ottusità del mondo adulto sembra essere riuscita a soffocare definitivamente la vitalità dei giovani studenti. La loro primavera pare essere irrimediabilmente spenta nelle ceneri della morte. “In una chiara notte di novembre. Nei cespugli e sugli alberi frusciano le foglie secche. Nuvole squarciate si inseguono correndo sotto la luna. – Melchior si arrampica sul muro del cimitero”.
Così, in preda ai sensi di colpa per la morte dell’amica Melchior si aggira tra le tombe dove sa giacere anche il defunto Moritz. Urta per errore la croce della sua lapide e provoca l’apparizione del fantasma dell’amico.
Moritz: “Dammi la mano. Sono sicuro che mi ringrazierai. Non ti sarà più tanto facile! È un incontro raro e fortunato. – Sono venuto su apposta…”
Egli invita Melchior ad afferrargli la mano con lo scopo di trascinarlo nelle profondità del mondo dei morti. Il destino del giovane Melchior sembra ormai segnato. Ma un uomo mascherato appare come deus ex machina tra le lapidi del cimitero ed inizia un sottile dialogo filosofico con Melchior e il fantasma di Moritz.
Il Signore Mascherato: “Io ti dischiudo il mondo. La tua momentanea prostrazione deriva dalla tua situazione miserabile. Con una minestra calda in corpo te ne rideresti.
Melchior: (tra sé) “Può essere soltanto uno dei diavoli!”, (ad alta voce). “Dopo ciò che ho commesso non sarà certo una cena calda a ridarmi la pace!”
Il Signore Mascherato: “Dipende dalla cena! – Per quello che posso dirti io, la piccola avrebbe partorito perfettamente perchè era costruita in maniera esemplare. È morta semplicemente per le pratiche abortive della signora Schmidt … Io ti conduco tra gli uomini. Ti dò la possibilità di ampliare il tuo orizzonte nel modo più favoloso. Ti faccio conoscere, senza eccezioni, tutto ciò che il mondo offre di interessante”.
Siamo dunque di fronte ad una nuova ed importante rinascita. Dalle ceneri della vicenda e dalla vittoria dell’oscuro mondo adulto sul risveglio primaverile della pubertà nasce, come la fenice, una nuova consapevolezza e l’occasione di una seconda possibilità per Melchior. A portare questo cambiamento è l’unico personaggio adulto positivo della storia. Prende per mano Melchior e lo allontana dalla morte conducendolo fuori dal cimitero e allontanandolo per sempre dal fantasma dell’amico.
Possiamo immaginare che il misterioso personaggio sia l’autore stesso. O forse quel segreto istinto vitale che alberga in ognuno di noi e che sotto forma di fantasia salva il protagonista. Di certo per Melchior la primavera è finalmente sbocciata. Seguiranno tante altre morti e rinascite come per tutti noi ma per Melchior, almeno per ora, i piccoli gnomi sono riusciti a spostare la grande leva ed egli è pronto per l’età adulta. La vita potrà riprendere il suo corso.