Bisogna dire che l’Auriseth, il folletto dalle grandi orecchie e dal volto rugoso che adora ascoltare le storie degli uomini, non si è mai sentito a proprio agio con gli altri folletti delle montagne e ha sempre condotto una vita piuttosto appartata. Le dicerie che i folletti amano raccontarsi circa vicende astruse e fantastiche lo lasciano da sempre indifferente. Com’è noto, inoltre, egli non ha mai amato passare il tempo a far dispetti agli abitanti dei monti come fanno invece le altre creature dei boschi. C’è però un argomento che lo incuriosisce più di altri: le storie di streghe. A onor del vero, pur conoscendo i boschi palmo a palmo, non gli è mai capitato di incontrarne una. Tuttavia, ciò che si è sempre chiesto, è come mai le streghe abbiano così tanto interesse ad influenzare la vita degli uomini con sortilegi e malefici. “Non è forse molto più interessante sedersi ed ascoltare le loro storie?” pensava spesso. Dunque, solo per questo fatto, aveva più volte dubitato della loro reale esistenza. Non certo perché si supponeva che volassero su scope o che si trasformassero in gatti neri, ma, piuttosto, giudicava impossibile che esistessero esseri soprannaturali come lui che spendessero così tanto tempo ad immischiarsi nelle vite degli uomini piuttosto che semplicemente ascoltarle. Passi, qualche volta, intrecciare le criniere dei cavalli, come fanno tutti i folletti, ma lanciar maledizioni e togliere la vita a questo o a quello, gli sembrava un gran spreco di energie e, in fin dei conti, una noia mortale. 

Con l’obiettivo di indagare meglio la questione, una mattina di novembre in cui la foschia avvolgeva ancora i monti della val Nure, sull’Appennino piacentino, comparve presso la piccola frazione di Missano non lontano da Bettola. Attorno all’antica casa torre dell’abitato la nebbia novembrina venne scompaginata da una folata di vento improvvisa. Questa, dopo essersi aperta un varco nella coltre, convogliò la nebbia sino a formare una piccola nuvoletta densa e bianca come la neve. Pochi attimi e da essa sbucò il volto dell’Auriseth. In breve, il folletto discese le pendici della valle, attraversò il torrente Nure e raggiunse la frazione di Recesio. Poi, con la determinazione di chi sa esattamente chi cercare, sempre grazie ad una decisa folata di vento, spalancò la finestra della cucina di Franca Bernazzani, una bella signora alta e dal largo sorriso. Un gran fracasso irruppe nella casa. Infatti, Franca, come d’abitudine, aveva disposto i suoi barattoli di marmellata in tante file parallele proprio nei pressi del davanzale e l’Auriseth, con il suo ingresso decisamente troppo impetuoso, ne aveva rotti ben due. “Santo cielo! che succede?” Esclamò Franca udendo il rumore di vetri rotti. Quando si avvicinò alla finestra notò subito il folletto seduto a terra con il volto imbrattato di marmellata di pesche e fichi. Bisogna dire che, da come si ripuliva con la lingua da quella leccornia, non sembrava assolutamente disdegnare le specialità della signora. Dal canto suo Franca intuì subito che non c’era nulla da temere. Pensò che si potesse trattare, certo, di un essere soprannaturale, ma di quelli pasticcioni e poi nella vita, ella aveva conosciuto streghe di ogni risma, cattive e buone, e dunque non era certo facile che si lasciasse impressionare. “Che goloso!” Esclamò la signora Franca e poi aggiunse: “Si direbbe che non esista la marmellata nel tuo mondo”. L’Auriseth la guardò e, in effetti, scosse il capo a destra e a sinistra come a dire un “No”. Quindi dispiegò le sue grandi orecchie, cosa che, come sappiamo, provoca in chi lo ascolta un gran desiderio di raccontare. In questo caso, tuttavia, la malìa del folletto, parve subito comunicare a Franca quale fosse l’argomento d’interesse, poiché, la donna proseguì dicendo senza incertezze: “Ah, dunque, non è di ricette di marmellata che sei venuto a sentir raccontare ma, bensì, di streghe”. 

Così dicendo, la signora Franca si accomodò sulla sedia della sua cucina e, senza indugio, proseguì: “Bene, allora credo che tu sia nel posto giusto perché ho molto da dire in merito ma, per prima cosa dimmi tu credi nell’esistenza delle streghe?”.

 

 

L’Auriseth non accennò risposta. Si limitò a tendere ancora di più le sue grandi orecchie, pronto a non perdere una parola di ciò che gli stava per esser raccontato. Quindi Franca aggiunse:
Che tu ci creda o no ti racconterò una storia che arriva da anni lontani e che, in qualche modo, è giunta sino a noi. Prima però inizierò a raccontarti un pò di cose sul passato di questi paesi, cosicché tu possa capire com’era il mondo quando si parlava ancora di streghe.
Dunque, se c’è una cosa che mi ha sempre affascinato sono le donne di casa che si ritrovavano in cucina e la tavola intorno alla quale pranzavano famigliari e parenti tutti insieme. Questo nella mia famiglia accadeva spesso perché era una vera e propria famiglia allargata i cui componenti abitavano in una casa isolata situata in una frazione chiamata Rocca di Missano. Ho una foto del 1943 che ritrae proprio la casa e l’attiguo fienile. Eccola qui, la estraggo dal cassetto del tavolo perché te la voglio mostrare.

 

 

In questa foto compaio io, ancora piccola in braccio a mia madre, mio padre Emilio e mio zio soprannominato Giep che faceva il falegname. Poi ti mostrerò anche quest’altra foto dove si può vedere mio padre che guida un vecchio trattore Ford con delle ruote molto particolari.

 

 

Come si può facilmente intuire queste avevano un rivestimento superiore che serviva per andare sui terreni agricoli e, una volta tolto tale rivestimento, si poteva viaggiare anche sull’asfalto. Ho amato molto mio padre. Era un uomo ben voluto e molto conosciuto nella valle perché andava a trebbiare i campi in diversi paesi ed era soprannominato “Missan”, come il nome del paese da cui proveniva, Missano. Faceva il mezzadro perciò ogni raccolto veniva diviso con il padrone. Infatti, mi ricordo che, quando maturavano le ciliegie, noi bambini fremevamo per raccoglierle subito ed invece occorreva aspettare di dividerle con il padrone. Questo per noi era una grande sofferenza. Inoltre, mio padre era un uomo che teneva molto ai figli e alla famiglia. Infatti non abbiamo mai ricevuto uno schiaffo da parte sua, solo rimproveri. Era anche molto religioso e infatti a maggio ci faceva sempre realizzare un altare con i fiori e la statua della Madonna, poi tutte le sere dovevamo dire il rosario con le candele accese.
Insieme alla figura di mio padre per me è stata molto importante anche quella di mio nonno. Quando ricorreva la festa di Santa Lucia ricordo che noi bambini dovevamo andare a letto presto. Le camere collocate al piano di sopra si raggiungevano tramite una scala realizzata con le assi di legno. Ho ancora in mente l’immagine di mio nonno che ci accompagnava lungo la scala reggendo una lucerna a petrolio. Al mattino, poi, ci faceva trovare un mandarino nelle scarpe. Per noi era veramente una gran cosa, come se avessimo ricevuto chissà quale regalo. Era un nonno veramente speciale. Per esempio, da giovane amava molto andare a ballare. Tuttavia mia nonna non era molto d’accordo e dunque una notte arrivò al punto di scappare di soppiatto dalla finestra con tanto di fisarmonica. Solo che inciampò, cadde dalla finestra e la fisarmonica fece un gran baccano. Mia nonna si svegliò, si affacciò al davanzale ma di lui nessuna traccia: era riuscito a dileguarsi prima di essere riacchiappato.
Di quando ero bambina ricordo anche che per raggiungere la scuola andavamo da Rocca a Missano percorrendo un sentiero stretto e ripido che ci faceva una gran paura. Proseguivamo poi attraversando la frana che si trova ancora oggi tra la frazione di Torrìa e Case Lasca. Effettuavamo l’attraversamento utilizzando delle apposite passerelle che venivano installate per permettere il passaggio dei bambini. Le maestre arrivavano da Piacenza con la littorina, un’automotrice su binari che collegava la città alla val Nure. Scendevano a Recesio e poi salivano a piedi verso Missano. In inverno, quando c’era la neve, noi bambini le raggiungevamo per aiutarle prendendo le loro borse. Si fermavano una settimana e poi tornavano a Piacenza il sabato e la domenica.
La mia famiglia ha abitato a Rocca finché ho frequentato le elementari. Quando ho iniziato le scuole medie ci siamo trasferiti al “Mulino dei Ratti” al margine del Nure, sullo stesso versante di Missano. Successivamente, quando ho iniziato la terza superiore, a Recesio. In quegli anni, per frequentare la scuola, mi spostavo tutti i giorni con la littorina da Piacenza a casa. Il giorno del mio esame di maturità mi accadde un’avventura molto divertente che ti voglio raccontare. Io e le mie compagnie scendemmo a Piacenza con la littorina e come sempre attraversammo i giardini Margherita. Il caso volle che, poco distante dai giardini, stessero asfaltando la strada. Ebbene, ci fu una folata di vento che sollevò il catrame e mi imbrattò completamente il vestito. Quindi andai alla prova orale tutta sporca di catrame e non potei fare altro che raccontare l’accaduto e sperare nella benevolenza della commissione. Ma riuscii a diplomarmi. Successivamente, con molti sacrifici da parte della mia famiglia, ho frequentato l’università a Genova laureandomi in lingue e poi mi sono specializzata in francese insegnando quindi in diversi istituti superiori e successivamente nelle scuole medie
. Questa è stata a grandi linee la mia vita. Ma veniamo ora al tuo interesse principale: le streghe.
Dunque, inizierò col dirti che una figura molto particolare ha attraversato le frazioni nelle quali sono cresciuta tra gli anni 40 e 50. Si trattava di una donna che si pensava fosse una “Stria”, una strega. Era magra, dalla postura curva, dai capelli spettinati e sempre vestita di nero. Veniva chiamata “Portugala”, perché sul davanzale della finestra di casa teneva sempre dei mandarini che in dialetto si chiamavano, appunto, “Portugal”. Il suo nome vero, tuttavia, era Filomena. Si diceva che i mandarini sul davanzale servissero per attirare i bambini e “Toccarli”, cioè fargli qualche maleficio. Infatti, in famiglia si diceva che mia sorella Anna fosse morta all’età di 17 anni a causa della polmonite proprio perché la Portugala, quando Anna era una bambina, la prese in braccio e in qualche modo la stregò. Nella foto di mio padre che guida il trattore Anna è la bambina che appoggia le mani sulle spalle della sorellina. Tutti i bambini del paese erano terrorizzati dalla Portugala. Si diceva, infatti, che rendesse sterili i campi, che intrecciasse la criniera del bestiame e tante altre cose terribili. Nella realtà probabilmente era solo una donna molto povera che possedeva solo qualche pecora e pochi alberi da frutto. Quando si faceva il formaggio girava di casa in casa con un fiasco vuoto chiedendo il caglio del latte per sfamare i propri figli poiché il marito era morto tempo prima. Ricordo che avesse almeno due figli, una figlia nata purtroppo senza un braccio e un figlio che a scuola era veramente molto bravo.
Al tempo, tra i muri delle case distrutte dalla guerra, si potevano ancora trovare molti residuati bellici. Infatti, mio fratello Remo, che metteva naso dappertutto, all’età di 6 anni portò a casa una bomba a mano che trovò chissà dove. Chiaramente non sapeva cosa fosse e quindi la fece rotolare sul tavolo vicino alla macchina da cucire, avanti e indietro, come se fosse un giocattolo qualunque. Io avevo 4 anni ed ero seduta vicino al focolare. Mia madre era in un’altra stanza intenta a fare il pane. All’improvviso la bomba cadde a terra ed esplose. La gamba del tavolo si spezzò, tutti i vetri delle finestre si ruppero, le schegge della bomba volarono dappertutto; colpirono me e mio fratello, la macchina da cucire volò per aria, raggiunse mio fratello in viso e poco ci mancò che perdesse un occhio. Insomma, tutti i ragazzini del paese prendevano questi residuati bellici dai muri delle case e li usavano per tormentare la Portugala. La prendevano di mira, le lanciavano nelle gambe le capsule di mina. Purtroppo non se la passava bene.
Insieme a lei ho conosciuto anche una donna, chiamata Colombina, che, in un certo senso, era, per così dire, la strega buona. Anche lei era curva e vestita di nero ma aveva un viso più dolce e colorito. Viveva a Recesio e usava “Segnare” le persone per guarirle dai mali di cui soffrivano. Per esempio, un giorno mi venne un rossore sul viso e lei lo segnò con una moneta. Posizionò la moneta sul rossore e se questa vi fosse rimasta attaccata avrebbe voluto dire che il male c’era ancora, al contrario, se la moneta si fosse staccata il male era passato. Insomma si può dire che questi erano veri e propri paesi di fattucchiere.
Bene, ora che ti ho raccontato tutte queste storie è proprio arrivato il momento che tu risponda alla mia domanda: ci credi, dunque, alle streghe?
”, chiese la signora Franca.

L’Auriseth sembrò pensarci un pò su, quindi, scosse le sue enormi orecchie per permettere a tutte le storie udite di discendere nel profondo dei suoi condotti auricolari, in quella dimensione nascosta dove tutti i ricordi tornano al loro posto in un equilibrio perfetto quanto segreto, infine, annuì scuotendo la testa. I ricordi di Franca lo avevano convinto. Probabilmente, da qualche parte nei boschi, le cosiddette streghe, esistevano. Concluse però che si potesse trattare di donne detentrici di preziose conoscenze segrete, oppure di povere donne tormentate proprio perché considerate strane. Tuttavia concluse anche che malefici, voli sulle scope e storie varie non fossero poi tanto vere. Mentre era assorto in questa valutazioni qualcosa, però, lo distrasse. Si trattava della marmellata di fichi che ancora impiastricciava in parte il suo volto. Dunque pensò che, dopo aver ascoltato tante storie, fosse arrivato il momento di fare una bella merenda e terminò quindi di pulirsi il viso con la lingua. Allora, la signora Franca, che conserva i suoi barattoli di marmellata in fila accanto alla finestra al fine di averli a portata di mano come omaggio per gli ospiti graditi, ne afferrò due e li porse al folletto. “Oggi hai scoperto che le streghe esistono e che ti piace molto la marmellata; non posso dunque lasciarti andare senza due bei vasetti: uno di pesche e uno di fichi”. Incredulo, l’Auriseth, li prese con sé. Non aveva mai ricevuto in regalo nelle sue visite dei vasetti di marmellata. Una nuvoletta di nebbia densa si formò all’improvviso fuori dalla finestra. Il folletto in un attimo vi si tuffò dentro e una nuova folata di vento lo condusse di nuovo verso Missano. La signora Franca già immaginava il suo nuovo amico da qualche parte sui monti di Missano gustare la sua marmellata e l’idea la fece sorridere. “Chissà che ora non vengano altri folletti a bussare alla mia finestra in cerca delle mie specialità”, disse divertita tra sé e sé e poi aggiunse: “Devo raccontarlo in giro: se qualcuno avesse voglia di incontrarlo non dovrebbe fare altro che lasciare dei vasetti di marmellata sul davanzale”, concluse.
Lassù sui monti, l’Auriseth, tra una cucchiaiata di marmellata di fichi e l’altra, pensò che fosse proprio arrivato il momento di andare alla ricerca di qualche strega. Accarezzando quell’idea e con la pancia decisamente piena, ben presto, si addormentò.

 

 

 

 

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